Messina, 3 Luglio 1990, è la sera della semifinale di Napoli tra l’Italia di Totò Schillaci e l’Argentina di Diego Maradona. Sono passati poco più di 30 anni da quella calda sera d’Estate, delle Notti Magiche che quella notte diventarono tragiche.
Casa mia era un posto particolare, un ambiente unico dove si respirava in tempi non sospetti un aria da cittadino del mondo!
Io italo siciliano, 17 anni, pieno di energia e diventato da qualche anno un incredibile appassionato di calcio. Mio padre, ex calciatore di grandissimo livello dal quale nulla ereditai se non l’ironia ma di certo non l’arte pallonara, era argentino ma come me tifava anche e soprattutto per il Messina!
Mia madre, scozzese di origine che a Milano aveva conosciuto quel folle di mio papà e che quando ci fu la guerra delle Falkland e Malvine la portò nella casa di San Licandro dove vivevamo. L’amore trionfò e fu pace oltre quel folle conflitto di cui ora sembra quasi perdersi la memoria.
E c’era ancora quella meravigliosa donna di mia nonna Rosa, argentina nostalgica del suo paese che, quando telefonava al suo numero enorme di fratelli e sorelle che aveva in Sud America, parlava con loro uno strano slang siculo castigliano incomprensibile ai più e a noi spiegava cosa aveva detto loro in puro spagnolo.
Mio nonno Francisco se ne era andato la sera prima del trionfo di Spagna, il 10 Luglio 1982, e aveva reso funesto quel trionfo che aveva esaltato tutti i nostri tifosi. Con lui sarebbe stato sicuramente “manicomio” come definiva la nostra vita in Sicilia.
Quella sera del San Paolo di Napoli, Diego portò, con la sua magia di essere campione invidiato e divisivo una parte della città partenopea, a tifare contro la sua stessa nazione. Nessuno però pensava che l’Italia di Azeglio Vicini, padrona di casa, potesse uscire contro l’Argentina che era formata da 10 onesti pedatori più l’immenso “diez” che faceva da solo tutto quello che contava.
Vinse, in quella serata stregata che noi, e tutta la città di Messina che spingeva il suo idolo Schillaci al titolo Mondiale, nemmeno potemmo vedere in televisione (ci fu un clamoroso black out a fine primo tempo di quella semifinale e la luce tornò solo dopo i calci di rigore).
Ci svegliammo con la sconfitta e la morte nel cuore: in quella notte calda, come solo le serate siciliane con afa atroce come quella sanno essere, solo una donna esultò davvero mettendo fuori la sua bandiera. Era mia nonna Rosa, la bizzarra ed energica donna che per me è stata d’esempio e che ho capito davvero solo dopo che se ne era andata molti anni dopo: col suo bandierone biancoceleste ci fece diventare nemici non so per quanto dell’intera comunità. La odiai! Non le parlai per settimane…Avevamo perso un mondiale già vinto e il nemico viveva in casa mia.
Col senno di poi un ricordo truce, triste e bellissimo allo stesso tempo: era l’epoca di una innocenza che col tempo sarebbe diventata l’età della colpevolezza e della consapevolezza. Legata al nome di Maradona. Di quel capellone con la maglia numero 10 che faceva cose che solo un Dio poteva fare.
Ecco, oggi, 25 Novembre, che lui se ne è appena andato credo fosse assolutamente inutile raccontare le cose che già si sapevano sul suo conto.
Sul calciatore, icona, segnatore non solo di reti meravigliose ma di una epoca stessa bella e irripetibile, si è detto di tutto. Anche sull’uomo, sicuramente meno fuoriclasse che con il pallone tra i piedi, molto debole e ingenuo si è detto tutto e il contrario di tutto.
A 60 anni è andata via una figura a cui è legata la mia giovinezza, gli anni 80, l’idea che il mondo potesse cambiare grazie a un solo uomo. Anche se Napoli prima e dopo Diego è veramente stata divisa in due epopee, ha riscattato un popolo, lo ha esaltato e trascinato a imprese irripetibili.
Io ho deciso di ricordarmi di quella sera di Italia90 quando la storia d’amore di Diego con il nostro paese, e le sue conniventi coperture cessarono.
Apparteneva a tutti il suo genio, e nessuno sarà mai come lui.
Adios Diego!
(AlanPaul Panassiti)
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